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estratto sentenza Cassazione Num. 5957 Anno 2016
Il tribunale di [omissis]condannò [omissis] e [omissis], in
solido con la Ass.ni [omissis], al risarcimento dei danni in favore dei [omissis]/
, previo dichiarazione di responsabilità del [omissis] nella produzione
del sinistro del 16 marzo 1992, nel quale era deceduta [omissis], trasportata
sul motoveicolo di proprietà del [omissis] e condotto da [omissis].
La Corte d’appello di [omissis], in riforma della prima sentenza, ha respinto la domanda
dei [omissis], accertando (sulla scorta delle dichiarazioni rese dai testimoni
escussi e dallo stesso [omissis]) che alla guida del motoveicolo non era il
[omissis], bensì la stessa vittima.
I [omissis] propongono ricorso per cassazione attraverso quattro motivi. Rispondono
con controricorso i [omissis], la [omissis]e la Assicurazioni [omissis].
Quest’ultima ha proposto ricorso incidentale, censurando la sentenza per non aver provveduto
sulla propria domanda di restituzione delle somme versate in adempimento della
prima sentenza.
Motivi della decisione
I primi tre motivi — che censurano la sentenza per violazione di legge e vizi della motivazione
— possono essere congiuntamente esaminati e sono fondati, siccome la sentenza
impugnata propone argomentazioni che non resistono al vaglio critico dei ricorrenti e
che impongono il nuovo esame da parte del giudice del rinvio al fine di appagare le perplessità
riscontrate.
La sentenza esordisce con l’affermazione della mancanza di prova circa il fatto che alla
guida del motoveicolo vi fosse effettivamente il [omissis] (come, invece, aveva accertato
il primo giudice), anziché la vittima del sinistro. Circostanza che sostiene non essere
stata provata dagli attori e neppure desumibile dai mezzi istruttori e dalla CTU esperiti
nel primo giudizio.
1. – Prosegue nella considerazione che il Tribunale aveva errato nel leggere la testimonianza
del [omissis]: questi non aveva dichiarato di aver visto la [omissis]alla guida
dell’autoveicolo un’ora prima del sinistro (come ritenuto dal primo giudice), bensì cinque
minuti prima (come testualmente risultante dal verbale testimoniale del 22.2.2002).
Il che porta il giudice d’appello “a presumere che in un così breve lasso di tempo nessuna
variazione di conducente sia intervenuta e che, quindi, all’atto del sinistro .fosse
condotta dalla [omissis]”.
In realtà, come fanno rilevare i ricorrenti trascrivendo la deposizione del menzionato testimone
(zio del [omissis], come da lui stesso affermato), questi ha prima dichiarato di
aver incontrato il [omissis] e la [omissis]a bordo della motocicletta (guidata dalla seconda)
intorno alle ore 12, per poi aggiungere che “dal momento in cui vidi la moto passare
al momento in cui seppi dell’incidente sono passati circa 5 minuti”.
Sul punto, dunque, la motivazione è incoerente rispetto a quanto emerso dalla deposizione
testimoniale, posto che dalle dichiarazioni rese sia dal [omissis], sia dal [omissis]
(conducente della vettura antagonista) nell’immediatezza del fatto (pure trascritte nel
ricorso) risulta che l’incidente avvenne intorno alle ore 13. Risultato istruttorio, questo,
discrasico rispetto alle dichiarazioni del [omissis], dalle quali si può complessivamente
desumere che l’incidente avvenne intorno alle ore 12,05 e che ha portato il primo giudice
ad affermare che il testimone aveva visto la coppia un’ora prima del sinistro (con la
conseguenza che in quel lasso di tempo il guidatore poteva essere cambiato) ed il secondo
condo giudice a ritenere che lo stesso aveva visto la coppia cinque minuti prima
dell’incidente (con la conseguente diversa desunzione che in un così breve lasso di tempo
era difficile ritenere che il guidatore fosse cambiato).
2. — La sentenza passa, poi, a valutare la testimonianza del [omissis] (colui che, come
s’è detto, guidava la vettura andata a scontrarsi con la motocicletta del [omissis]), osservando
che effettivamente il testimone aveva riferito che all’atto del sinistro il motociclo
era guidato dal [omissis]; tuttavia, ne ricava che “nell’insanabile contrasto tra le
due (uniche) deposizioni testimoniali predette … l’essenziale elemento dell’identità del
conducente della moto è restato del tutto incerto e comunque non provato adeguatamente”.
Ora, anche la motivazione circa la testimonianza del [omissis] (che la sentenza ha ritenuto
contrastante con quella del [omissis]) merita critiche, sia nella considerazione che
il corrispondente esame della testimonianza di quest’ultimo ha manifestato le criticità di
cui prima s’è detto, sia nelle considerazioni che il [omissis] (a differenza del [omissis],
che ha dichiarato d’essere parente del [omissis]) è persona del tutto estranea alla vittima
ed al [omissis], che è stato presente al sinistro (quale conducente, come s’è detto,
della vettura antagonista) e che è stato sentito dai verbalizzanti nell’immediatezza del
fatto. In altri termini, il giudice d’appello è pervenuto ad una sorta di azzeramento
dell’efficacia delle due testimonianze sulla base di rilievi motivazionali che manifestano
perplessità logiche.
3. — Proseguendo nella motivazione, la sentenza spiega che al (surritenuto) vuoto probatorio
non ha sopperito la CTU, svolta da un ingegnere che “valendosi sostanzialmente
dell’ausilio medico legale del dott. [omissis]ed anzi affidando (acriticamente) alle
di lui considerazioni mediche le soluzioni del quesito, ha finito per fornire solo delle
supposizioni, provenienti dal Landi e da lui, come detto, non vagliate criticamente secondo
le pur (antecedentemente) svolte deduzioni di sua più stretta competenza; tant
che lo stesso 1 0 giudice ha ritenuto necessario chiamare entrambi i professionisti a
chiarimenti, riuscendo, in tali sedi … soltanto ad accertare che gli stessi non reperirono
alcun esame necroscopico o autoptico della vittima …”.
I ricorrenti trascrivono (pag. 26 del ricorso) un brano della CTU, la quale, dopo una serie
di rilievi medico legali, spiega che “solo il passeggero poteva subire gravi lesioni
così gravi (sic!) a fronte dell’esiguità della lesività riscontrata al conducente. Nel caso
in oggetto solo l’ipotesi che la [omissis]occupasse il posto di passeggera può spiegare
come le lesioni così gravi attenessero lei e non il sig. [omissis] che, in quantità di
conducente ne pativa di modestissima entità”. Seguono una serie di altre considerazioni
comprovanti (a parere del consulente) che la [omissis]fosse la trasportata e non la conducente
del motoveicolo.
Anche sul punto la motivazione non è appagante. La lettura dei brani della consulenza
porta a ritenere che quello espresso è il risultato di un’indagine scientifica alla quale, per
confutarla, occorre dare un’adeguata risposta che abbia medesima dignità; non è sufficiente
sostenere che si tratti delle mere “supposizioni” di un ingegnere che s’è
camente” affidato ad un medico. Il giudice d’appello non solo non ha motivato alcuna
confutazione, per quanto non ha neppure spiegato l’oggetto della valutazione critica che
avrebbe dovuto svolgere l’ingegnere; sicché, lo svilimento probatorio della consulenza
finisce con l’essere immotivato ed incoerente.
4. — Il terzo argomento, su cui la sentenza fonda, riguarda le dichiarazioni rese dal Delli
Paoli. Costui, un’ora e mezza circa dopo il sinistro (alle 14,30 del 16.3.1992), dichiara
ai Carabinieri (il verbale è trascritto a pag. 25 del ricorso) di essersi trovato a bordo della
sua motocicletta insieme con la sua amica [omissis], quando, all’uscita di una curva,
il mezzo scivolava ed andava ad incastrarsi sotto la vettura antagonista. Nell’occasione,
egli aveva subito delle escoriazioni, mentre la ragazza sicuramente s’era rotta una gamba.
Risentito circa due mesi e mezzo dopo il fatto (il 25.5.1992), il [omissis] dichiara alla
Polizia che, in quell’occasione, alla guida della motocicletta c’era la [omissis]e non lui
e di avere riferito il falso ai Carabinieri, subito dopo il fatto, per evitare fastidi alla ragazza,
che egli sapeva non essere in possesso di patente idonea alla guida di motocicli di
grossa cilindrata; falso dichiarato perché all’epoca egli non immaginava la gravità del
fatto che avrebbe poi condotta la donna alla morte.
Nel valutare questi elementi probatori, la sentenza impugnata, discostandosi dalle conclusioni
alle quali era giunto il primo giudice, attribuisce veridicità alla seconda dichiarazione
e la nega alla prima. Sostiene che, nelle prime dichiarazioni (quelle immediatamente
successive al sinistro), il [omissis] “si astenne prudentemente da ogni dichiarazione
in ordine all’identità del conducente, limitandosi di fatto a dichiarare, genericamente:
<<mi trovavo a bordo della mia motocicletta>>, <<la mia moto scivolava di
lato, andando a urtare>> (anche la l° persona singolare <<percorrevo>>, non appare
univoca, potendo significare indifferentemente il ruolo suo di trasportato come quello
di conducente)”. Quanto alle successive dichiarazioni del [omissis], la sentenza sostiene
che, invece, “esse appaiono tutt’altro che ingiustificate (e tanto meno <<poco
veritiere e credibili>> come ritenuto dal I° giudice), ben essendo, viceversa, del lutto
credibile e verosimile che egli inizialmente intendesse, con le surriportate comunque
equivoche – dichiarazioni (rese quando ancora non era prevedibile il decesso della [omissis]),
evitare alla [omissis]medesima una imputazione di guida con patente inadeguata
a condurre motocicli di elevata cubatura e, verosimilmente, a se stesso quella
di incauto affidamento”.
Questa Corte doverosamente si astiene da qualsiasi valutazione circa i sospetti e le perplessità
che eventualmente suscitino il comportamento del [omissis]. Occorre, però,
rilevare che le osservazioni letterali e sintattiche della sentenza, concernenti le prime dichiarazioni
del [omissis], sono, in verità, inconsistenti, più che insignificanti. Ritenere,
poi, che esse, rese nell’imminenze del fatto (quando la gravità delle lesioni subite dalla
vittima non era ancora emersa), fossero dettate dall’intento di sottrarre sé e la [omissis]
da sanzioni per incauto affidamento e guida senza idonea patente ha un sicuro costrutto
logico. Tuttavia, l’argomentazione deve essere logicamente rapportata ad altre circostanze
emerse in atti e delle quale il giudice non tiene nessun conto: ossia che il [omissis] rese le seconde dichiarazioni (quelle del maggio 1992) quando la vittima non era
ancora deceduta (lo sarà nel luglio del 1992) e che egli successivamente fu sottoposto a
procedimento penale per omicidio colposo della [omissis], quale conducente del motociclo;
procedimento concluso con sentenza d’applicazione della pena su richiesta
dell’imputato.
Allora, in primo luogo, occorre motivare in ordine alla circostanza che nel procedimento
penale il [omissis] s’è poi addossata la responsabilità conseguente alla sua condotta di
guida, in secondo luogo, poi, c’è da tenere in giusta considerazione che se è logico sostenere
che egli, con le prime dichiarazioni, abbia inteso sottrarre sé e la vittima da sanzioni
(tutto sommato non d’eccessiva gravità), è altrettanto logico sostenere che con le
seconde dichiarazioni (rese quando ormai il quadro clinico della vittima s’era manifestato
in tutta la sua gravità) egli abbia inteso sottrarsi a ben più gravi conseguenze penali.
5. — In conclusione, di fronte a tale mole di perplessità suscitate dalla motivazione della
sentenza impugnata, è indispensabile la sua cassazione affinché il giudice del rinvio rivaluti
tutti gli elementi processuali emersi, alla luce delle sopra esposte considerazioni critiche. Vanno, dunque, accolti i primi tre motivi del ricorso, con conseguente assorbimento
del quarto motivo, che concerne la liquidazione del danno. Altrettanto assorbito
resta il ricorso incidentale che lamenta la mancata condanna degli attori alla restituzione
delle somme già percepite dalla compagnia.
Per questi motivi
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso. Dichiara assorbito il quarto. Cassa la
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di [omissis]
in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Dichiara assorbito il ricorso incidentale.