Separazione divorzio consensuale affidamento Avvocato Parma

Separazione divorzio consensuale affidamento

estratto Cassazione civile n. 16909 / 2015

[omissis]

La Corte d’appello di Firenze con sentenza del 24 dicembre 2013 ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città, revocando la statuizione dichiarativa della perdita di efficacia degli accordi conclusi dalle parti in sede di separazione consensuale e confermandola, invece, quanto alla pronuncia di scioglimento del matrimonio.

La corte d’appello ha ritenuto che le pattuizioni economiche inerenti la separazione fra i coniugi devono inerire o l’assegno di mantenimento, o l’assegnazione della casa familiare, mentre nella specie gli accordi si limitavano a disciplinare, in occasione della separazione, alcuni interessi economici relativi a pregressi rapporti tra le parti, non avendo la moglie chiesto alcunché circa il mantenimento personale, nè essendovi luogo all’assegnazione dell’abitazione, in mancanza di figli minori o non autosufficienti conviventi. Per ritenere cessati detti accordi patrimoniali, pertanto, sarebbe occorsa una dichiarazione di volontà concorde dei coniugi.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso il soccombente, sulla base di tre motivi, illustrati pure da memoria. L’intimata ha depositato il controricorso.

1. – Con il primo motivo, il ricorrente censura l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto: a) ha equivocato circa il tenore degli accordi di separazione, riferendoli ad un “pregresso rapporto” patrimoniale fra i coniugi, mentre da nessuna parte il marito si è riconosciuto debitore della moglie in forza di un mutuo; b) non ha valorizzato il collegamento funzionale tra la rinuncia al mantenimento e gli accordi raggiunti, pur chiaramente posto al punto 7 del ricorso per separazione, ove i coniugi affermano che “con l’ottemperanza di quanto sopra stabilito, i ricorrenti dichiarano di rinunciare … ad ogni forma di mantenimento in quanto entrambi autonomi ed autosufficienti”; c) non ha considerato che la moglie, nell’atto di appello, aveva espressamente chiesto la concessione di un assegno di mantenimento per l’ipotesi in cui fosse privata del diritto di continuare ad abitare la casa coniugale.

Con il secondo motivo, censura la violazione o falsa applicazione degli art. 1362, 1363 e 1366 c.c., avendo la sentenza impugnata obliterato la lettera degli accordi, finendo così per reputarli avulsi dalla separazione stessa e dalla mancata previsione di un assegno, invece diretta conseguenza proprio di quegli accordi, attesa la ricordata espressione di cui al punto 7 di essi, mancando di operare una valutazione non atomistica delle clausole, che avrebbe palesato il risultato solutorio in relazione agli obblighi di mantenimento, ottenuto dalle parti tramite la concessione alla moglie del diritto a continuare (insieme alla madre ed alla nonna) ad abitare l’immobile, in proprietà del marito, sino alla vendita del medesimo, con tutte le spese per utenze ed imposte a carico del marito, e tutto ciò sino alla vendita dell’immobile stesso (non ancora avvenuta), il cui ricavato avrebbe dovuto andare per un terzo a favore della moglie.

Con il terzo motivo, censura la violazione e la falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, artt. 4 e 5 avendo l’assegno divorzile funzione diversa da quello in favore del coniuge separato, onde il giudice del merito avrebbe dovuto procedere a verificare i presupposti del secondo, e non considerare fermi gli accordi assunti solo in sede di separazione.

2. – I tre motivi, che possono essere unitariamente considerati per la loro intima connessione, sono fondati.

Questa Corte ha da tempo affermato (Cass. 12 settembre 1997, n. 9034;

15 maggio 1997, n. 4306; più di recente, v. Cass. 22 novembre 2007, n. 24321; 17 giugno 2004, n. 11342; 23 marzo 2004, n. 5741) che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione pregressa e concernenti le altre statuizioni economiche.

Pertanto, l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico predetto e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che sono ricollegati, si potrebbe dire, in via soltanto estrinseca con il patto principale, relativi a negozi i quali, pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniali:

art. 1321 c.c.), al fine di regolare in modo tendenzialmente completo tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutto leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali e purchè non ledano diritti inderogabili.

Dunque, i coniugi possono concludere accordi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale.

Si è chiarito così che, in sede di separazione personale dei coniugi (consensuale, ma anche giudiziale o di divorzio), è ammesso che venga sia assegnata la casa familiare in favore dell’altro coniuge, sia prevista la clausola istitutiva dell’impegno futuro di vendita dell’immobile adibito a casa coniugale (Cass. 22 novembre 2007, n. 24321, citata).

In sostanza, ben possono allora dette pattuizioni – quelle aventi causa concreta e quelle aventi mera occasione nella separazione, le prime volte ad assolvere ai doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla separazione e le seconde finalizzate semplicemente a regolare situazioni patrimoniali che non è più interesse delle parti mantenere invariate – convivere nello stesso atto: esse si configurano come del tutto autonome e riguardano profili fra di loro pienamente compatibili, sebbene diverso ne sarà il trattamento allorchè una delle parti ne chieda la modifica o la conferma, in sede di ricorso ad hoc ex art. 710 c.p.c. o in sede di divorzio. In caso di sopravvenienza di un quid novi, modificativo della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati, infatti, è possibile la modificazione degli accordi solo con riguardo alle clausole aventi causa nella separazione personale, ma non per gli autonomi patti, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c..

In particolare, l’accordo mediante il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano la vendita a terzi del bene immobile (e, segnatamente, come nella specie, di quello che costituisce la casa familiare) e l’attribuzione del ricavato pro parte a ciascun coniuge, in proporzione del denaro che abbia investito nel bene stesso, da vita ad un contratto atipico, il quale, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322 c.c., è caratterizzato da una propria causa, rispondendo ad un originario spirito di sistemazione, in occasione dell’evento di separazione consensuale, dei rapporti patrimoniali dei coniugi sia pure maturati nel corso della convivenza matrimoniale.

Occorre, dunque, che il giudice del merito, nell’ambito dell’accordo destinato a disciplinare la separazione consensuale, valuti, alla stregua di un’indagine ermeneutica guidata dall’art. 1362 c.c. e segg., se vi sia inserita anche una convenzione avente una sua autonomia.

Nella specie, risulta che le parti stabilirono una serie di regole di futura condotta, menzionate in ricorso – comprendenti, da una parte, la vendita dell’immobile, già casa coniugale e di proprietà del marito, a terzi, al fine di restituire un terzo del ricavato alla moglie; dall’altra parte, l’attribuzione alla moglie del diritto a continuare ad abitare l’immobile, insieme alle proprie madre e nonna, sino alla menzionata vendita del bene, con obbligo del marito di pagare una percentuale del mutuo contratto a suo tempo dalla moglie per soprelevare il bene, nonchè tutte le utenze e le imposte sino alla vendita medesima con restituzione della somma ricevuta (vendita evidentemente programmata a breve, ma che le parti affermano come non ancora avvenuta), ed altro.

La sentenza impugnata non ha fatto però corretta applicazione dei principi esposti, avendo affermato che gli accordi aventi causa nella separazione devono necessariamente riguardare l’abitazione familiare o l’assegno di mantenimento, senza considerare, inoltre, che quest’ultimo può essere sostituito da altre forme di contribuzione, nè che nel medesimo accordo possono convivere, come sopra esposto, obblighi sostitutivi dell’assegno del mantenimento (da riconsiderare eventualmente in sede di divorzio) con la regolamentazione di pregressi rapporti patrimoniali (immodificabili nelle forme proprie dei primi).

3. – Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Firenze, perchè, in diversa composizione, applichi il principio enunciato al caso concreto, riesaminando nel merito il materiale istruttorio acquisito, ed in particolari, l’accordo di separazione consensuale, distinguendo quali patti abbiano causa concreta nella medesima e nei doveri di solidarietà familiari, e quali trovino in essa mera occasione mirando a riequilibrare la reciproca situazione patrimoniale in ragione di pregresse dazioni di denaro effettuate ad un coniuge in favore dell’altro; alla corte del merito si demanda, altresì, la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia innanzi alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. [omissis]