Condominio Stalking Molestie Avvocato Penale Civile Parma

Condominio Stalking Disturbo Avvocato Penale Civile

estratto sentenza Cass. 26878/2016

Con il provvedimento impugnato il Tribunale del riesame di [Omissis] ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronto dell’indagato per il delitto di cui all’art. 612 bis c.p. in danno di vicini di casa.

  1. Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa, lamentando violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., poiché la dichiarazioni della persona offesa erano state ritenute da sole sufficienti a fondare il giudizio di gravità indiziaria, senza ricerca di riscontri.

Col secondo motivo il ricorso ha censurato l’inosservanza della norma ex art. 612 bis c.p., per aver ritenuto gli eventi del delitto sulla base della sola parola della persona offesa, non supportata da alcun documento neppure di natura medica.

2.Nel terzo e quarto motivo si è criticata la motivazione che ha ritenuto necessaria la massima misura cautelare senza adeguata argomentazione e per aver considerato la mancanza di disponibilità dei familiari ad ospitare l’indagato, mentre questa vi sarebbe stata in presenza di una misura non inframuraria.

All’odierna udienza il PG Dott. [Omissis] ha concluso per l’inammissibilità ed il difensore [Omissis] ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

Il ricorso è inammissibile.

  1. I primi due motivi del ricorso non tengono conto della costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale le dichiarazioni della persona offesa dal delitto possono essere anche da sole poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità se sottoposte a vaglio critico circa l’attendibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva di quanto riferito e non sono sottoposte alla regola di giudizio ex art. 192 c.p.p., comma 3. Sul punto: (Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19 luglio 2012 Ud. (dep. 24 ottobre 2012) Rv. 253214) Le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (In motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).

1.1 Applicando tale criterio di valutazione alla fattispecie in esame va osservato che il Tribunale ha operato un sintetico ma esauriente esame della credibilità del querelante, escludendo la presenza di intenti calunniatori o di contrasti economici e valorizzando razionalmente il fatto che le sue ripetute querele, pertanto, erano state originate da una reale esasperazione derivante dalle condotte dell’indagato che aveva denunziato.

1.2 Dal testo del provvedimento – che ha passato in rassegna gli omogenei contenuti delle plurime denunce querele sporte dalla persona offesa – è apprezzabile un implicito giudizio di attendibilità delle accuse nei confronti del ricorrente, del resto riscontrate più volte anche da interventi della Polizia Giudiziaria.

1.3 Con motivazione adeguata e logicamente ineccepibile il provvedimento impugnato ha dato conto, altresì, delle conseguenze sulla condizione di vita della persona offesa costretta ad assentarsi dal lavoro ed assumere tranquillanti, ravvisando in esse gli eventi del mutamento delle abitudini e dell’insorgere di un grave stato d’ansia. Tale deduzione è coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la prova dell’evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Sez. 5, Sentenza n. 14391 del 28 febbraio 2012 Cc.(dep. 16 aprile 2012) Rv.

252314.

  1. A fronte del citato congruo apparato motivazionale la censura del ricorso genericamente rappresenta il contrasto tra le versioni della persona offesa e quella dell’indagato, così trascurando l’esistenza del diritto di difendersi anche mentendo. In proposito Sez. 6, Sentenza n. 18755 del 16 aprile 2015 Cc. (dep. 6 maggio 2015) Rv.

263550 e in senso conforme n. 9929 del 2003 Rv. 223946, n. 13309 del 2004 Rv. 229238, n. 28620 del 2009 Rv. 244730, n. 2740 del 2010 Rv.

246042, n. 26455 del 2013 Rv. 255678.

  1. Quanto al tema cautelare, oggetto del terzo e quarto motivo di ricorso, il ragionamento dei Giudici [Omissis] appare ugualmente ben chiarito ed ancorato alla buona interpretazione dei criteri di legge ed alla giurisprudenza di questa Corte in materia di esigenze cautelari, tramite il puntuale riferimento ai precedenti penali e giudiziari, anche caratterizzati da violenza e molestia alle persone, alla gravità ed alle specifiche modalità dei fatti, nonché alla condizione di persona dedita all’alcool dell’indagato.

3.1 In coerenza con tali premesse è stata esclusa l’idoneità a neutralizzare il pericolo di recidiva di misure affidate all’autocontrollo dell’indagato, come quella degli arresti domiciliari, riguardo alla quale, in ogni caso, emerge dal provvedimento che la difesa non si sia attivata, ne allegando la disponibilità ad ospitare l’uomo da parte di parenti, ne la dichiarazione di disponibilità ai mezzi elettronici di controllo.

Alla luce delle considerazioni precedenti il ricorso è manifestamente infondato. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – alla luce del principio di responsabilità processuale – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata.

A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in materia di protezione dei dati personali va disposto l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.